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Edna e Yael (parte 1/6)

  • autore sconosciuto
  • 12. Juli 2023
  • 9 Min. Lesezeit

INVITO ALLA LETTURA


Speranze, delusioni e gioie di Yael Una storia avvincente, ricca di contenuti, narrata con semplicità. Incontri, dialoghi preoccupazioni, paesaggi si susseguono e, come pennellate di esperto pittore, introducono in ambienti che subito diventano familiari. Fin dall’inizio si ha l’impressione di camminare per le strade della Palestina di più di duemila anni fa, prima con Edna, in viaggio per far visita alla sorella ammalata, in compagnia di Anina e l’asinello, poi con Yael, alla ricerca del Nazzareno, del quale tutti parlano come di una persona speciale con grandi poteri, con la speranza di ottenere la guarigione dalla malattia che la tormenta fin dall’adolescenza. Con lei entriamo nella vita dell’ebreo comune e praticante e ne conosciamo ambienti, abitudini, attività quotidiane e pratiche religiose. Attraverso la sua esperienza sofferta, intravediamo il “mondo della legge”, dalla quale Yael, a causa della malattia, si sente giudicata e rischia di essere estromessa dalla Sinagoga come impura. La seguiamo quando si mette in cammino con una grande speranza nel cuore, attratta prima dai discorsi della gente, poi affascinata dalle parole del Maestro e dalle sue opere udite e viste. Yael si chiede: il Nazzareno, il Maestro, colui che parla con autorità ed ha un potere senza limiti che vince malattie, forze negative della natura, e addirittura

fa tornare in vita i morti, è Lui il Messia atteso nei secoli? Il cuore le risponde affermativamente. Ormai ne è certa: Gesù è l’atteso dalle genti! È di Lui che hanno parlato i profeti lungo i secoli! È il Salvatore! Gesù riconosce la sua fiducia e con la guarigione mette il sigillo alla sua fede. Yael è felice e continua il suo cammino piena di gioia al seguito del Messia!

Suor Andreina della Libera




EDNA e YAEL


Edna si era messa in viaggio da Magadan di Galilea già avanti l’ora prima, quando l’aurora, con la sua luce soffusa, andava scemando le ultime stelle. Voleva far visita a sua sorella Yael, a Betsaida, nel sud della Traconitide. Non era distante, ma lei aveva in mente diverse incombenze da sbrigare.

Quella mattina il suo asinello, normalmente quieto e mansueto, con sua grande sorpresa, iniziò invece a trotterellare, come se avesse avuto fretta. Edna lo lasciò fare. Alla fin fine era sempre lui a ritmare il passo. E poi, il suo frenetico trotterellare, si sarebbe subito esaurito alla scoperta di un eventuale albero di fico, della cui corteccia era ghiottissimo; e allora, da bravo animale dalla testa dura, si sarebbe fermato a rosicchiarne il tronco. Nemmeno le bastonate della sua schiava Anina, l’avrebbero fatto desistere. Era un animale strano, ma forse per questo le era simpatico. Era Anina a non condividere il suo trotterellare, anche perché faticava a stargli dietro, tanto che Edna la sentì farfugliare qualcosa d’incomprensibile; ma benché distante intuì; le fece semplicemente segno di affrettarsi.

Anina, una robusta donna fenicia, era la sua schiava. Edna, però, era molto restia, sia verso i conoscenti che verso gli amici, a far sapere che aveva una schiava; preferiva raccontare a tutti che era la sua serva.

La verità era che un giorno, suo malgrado, il marito Rashi, di ritorno da uno dei suoi viaggi in Fenicia, si era presentato in casa con la donna. L’aveva avuta da un cliente di Sidone, il quale aveva un grosso debito verso il marito. Non riuscendo il cliente a saldare il vecchio debito, per non rischiare di perderlo, Rashi si vide costretto a barattarlo con la donna che era una delle tante schiave del debitore.

Edna iniziò subito a chiamarla” la Fenicia”. La donna era un tipo alto e robusto, sul cui viso spavaldo dominava un duro cipiglio, tale da incutere timore a chi se la trovava davanti. In totale contrasto con l’aspetto era il suo carattere benevolo che dimostrava con la gran voglia di lavorare e con la gentilezza, accompagnata da un timbro di voce delicato, armonioso. Anina, oltre che esserle utile in casa, era per lei una buona protezione nei suoi continui spostamenti. La sua massiccia mole, accentuata dalle spalle quadrate e muscolose, la facevano apparire più un gladiatore che una semplice accompagnatrice. Edna voleva che portasse sempre i sandali ai piedi, ma lei che era contraria, fatta poca strada e approfittando di un attimo di distrazione della sua padrona, li sfilava via. Bisognava osservarla bene per accorgersi se in lei ci fosse qualcosa di femminile.

La decisione di Yael di andare a trovare la sorella era scaturita dopo che lei e Rashi erano rientri da un viaggio in Fenicia. Suo marito doveva concludere la vendita di una grossa partita di vino e olio, con il Primipilus della legione romana del posto. Lei l’aveva accompagnato, non per seguirlo nelle contrattazioni, cosa che lui sapeva fare benissimo, ma per andare al mercato di Tiro. Erano rientrati dalla Fenicia mezza giornata prima della festa di Purim, riuscendo ugualmente a rispettare il digiuno della vigilia, come la legge della Torah imponeva: “il digiuno di Ester”. La festa ricordava la salvezza dei Giudei in Persia. La vigilia era stata festeggiata in allegria, insieme ai genitori e ai cugini di Rashi. Si era quindi ripromessa, prima dell’ormai prossima festa di Pessach, di andare a trovare Yael, la sua sorellina preferita. Non la vedeva dalla ormai lontana festa dello Chanukka, la festa delle luci.

Si era messa in viaggio presto, perché prima di andare da Yael, voleva fermarsi a Cafarnao. Voleva passare da un guaritore, e poi fare alcune compre al mercato. Il mercato di Cafarnao, oltre ad essere il più grande della regione, rimaneva sempre il suo preferito.

Al suo asino, intanto, sembrava passata la frenesia di trotterellare e il suo incedere, adesso, era flemmatico, quasi pensieroso, consono alla sua natura. Edna, accompagnata dal ticchettio degli zoccoli dell’asino sul selciato della strada romana, si era incantata ad osservare la sagoma della sua ombra. Scorreva sui ciottoli e sui massi di basalto, sparsi lungo i margini della strada, prendendo forme bizzarre: a momenti diveniva mozza e deforme, per riapparire, subito dopo, grossa e anormale, oppure sbocconcellata, come in una burlesca rappresentazione. Quel suo immergersi nel mondo della fantasia era uno dei tanti aspetti del suo carattere estroso. Quel fantasticare durò poco, perché il suo pensiero corse di nuovo a sua sorella Yael. La “sorellina malata” come le piaceva ricordarla, quando pensava a lei, anche se ormai anche lei aveva molti capelli grigi.

Edna era nata a Betsaida, dove aveva vissuto la sua giovinezza. Chiesta in sposa da Rashi, era andata a vivere a Magdala, dove suo marito commerciava in vino, olio, e pesce sotto sale. Nella loro vecchia casa natale ormai era rimasta solo Yael. Edna era la più anziana delle due sorelle e dei due fratelli. Chi s’interessava a Yael, la sorella più giovane, era solo lei. Gli altri fratelli non avevano tempo, così dicevano. L’attaccamento che aveva verso la sorella era nato quando, all’età di appena otto anni, si trovò a doverla accudire. La ricordava ancora che era un batuffolo di bambina. Entrambi i genitori erano impegnati con l’impresa famigliare. La madre organizzava i lavoranti in bottega, mentre il padre andava di paese in paese a vendere i diversi tipi di corde e di reti che producevano. Adesso sua sorella Yael era ormai una donna, ma quel senso di protezione e affetto verso di lei le era rimasto.



IL GUARITORE


Arrivata a Cafarnao, Edna si preoccupò subito di cercare un certo Annone di Tolemaide. A Tiro, un cliente di suo marito, le aveva parlato di questo Annone. “Le garantisco che è il migliore guaritore che potrebbe trovare da qui alla Giudea”, aveva detto davanti a lei e al marito, quella sera che erano a cena da lui. Dopo aver sfoggiato un lungo elenco di disgrazie e malanni che l’avevano colpito, disse ancora: “Voi non potete immaginare quanti guaritori ho provato. Finché, finalmente, ho conosciuto questo Annone: è un saggio della medicina, per lui il corpo umano non ha segreti. Aveva poi giurato che solo lui era riuscito a guarirlo da tutte le sue sofferenze. Il cliente che raccontava queste cose era in buonissima salute ed era l’evidente prova delle sue affermazioni. Edna, che avrebbe voluto tanto che sua sorella Yael guarisse, volle fare un altro dei tanti tentativi già fatti.

Sua sorella Yael soffriva di perdite di sangue da quando era giovane. Si era già spinta fino in Giudea e girato la Fenicia in lungo e in largo per comprare, dai vari guaritori e stregoni, quel famoso medicamento che l’avrebbe dovuta guarire. Ma dopo averne incontrati tanti e provato infusi misteriosi di ogni genere, e dopo aver speso tanti soldi, non era ugualmente guarita.

Di stregoni che promettevano di far guarire ne spuntavano come funghi. La gente parlava di loro come si parla delle previsioni del tempo. Tutti erano sicuri di conoscere e di consigliare il miglior guaritore, pretendendo di sapere tutto di tutti. Molti di questi guaritori si spostavano spesso, un po’ per lavoro, ma più per paura di qualche malato che sentendosi ingannato, si sarebbe potuto vendicare.

Da come gli aveva spiegato quel loro cliente, l’abitazione del guaritore Annone doveva trovarsi a Cafarnao, dietro il tempio di Baal. Quando si trovò davanti ad Annone rimase piuttosto contrariata. Non corrispondeva affatto al personaggio che aveva immaginato: sicuro, piacevole, giovanile. Davanti a lei c’era un vegliardo alto, imperturbabile, più scheletrico che magro. Una tunica bianca lo copriva fino ai piedi, e dal viso scarno una lunga barba screziata scendeva fino alla cintola.

Sconcertante era quella sua pelle tirata, di un intenso color ambra scuro. Lei ricordava di aver conosciuto, molto tempo prima, un tipo simile e tutti dicevano che veniva dal lontano oriente. Il taglio degli occhi di questo, però, non aveva la stessa caratteristica. Edna, che ne studiava ogni movimento ed osservava ogni dettaglio, divenne pensierosa e sospettosa davanti a quei due occhi verdi che le ricordavano tanto i serpenti. La sua prima sensazione fu quella di un essere freddo, distaccato dalle cose di questa terra. “Ecco perché riesce nella sua arte: non si lascia condizionare dal male”, pensò.

Le venne in mente ciò che aveva ascoltato poco prima dagli altri pazienti che aspettavano come lei nell’atrio. Una donna era arrivata ad affermare, ed era convinta: “Il saggio ha passato i duecento anni! sicuramente opera di quei misteriosi filtri che solo lui conosce”. Un altro, invece, affermava: “Persino alla corte di Erode Filippo viene tenuto in grande considerazione, e passa per un guaritore prodigioso”. Osservandolo, sempre più cominciava ad avere la sensazione di aver trovato, finalmente, chi avrebbe risolto il problema di sua sorella, anche se non sapeva spiegarsi ancora il perché.

Una volta esposto il problema, il sapiente si chiuse in un silenzio mistico. Lo sguardo rimase pensieroso, mentre con la mano sinistra si lisciava delicatamente la lunga barba. Andò avanti così per diverso tempo. Ogni tanto si degnava di gettare il suo sguardo distaccato su di lei. Edna era sul punto di ricordagli perché fosse lì davanti a lui, quando le fece cenno di seguirlo. Il vecchio si diresse verso una grande porta, l’aprì, ed Edna si trovò in una sala piena di scaffalature in legno di cedro che arrivavano a toccare il soffitto. Centinaia di lucidi e bianchi contenitori in ceramica colmavano i tanti scaffali.

I contenitori erano divisi per grandezza. In alto trovavano posto i grandi vasi e sotto, in modo decrescente, i piccoli. Tutto era minuziosamente ordinato e pulito. L’interesse di lei si spostò subito dopo sulle strane scritte riportate sui vasi. Edna, che sapeva leggere sia l’ebraico che l’aramaico, tentò di decifrarle, ma quella scrittura cuneiforme, rimaneva per lei incomprensibile.

Il centro della sala era occupato da due grandi tavoli. Tre giovani, sicuramente dei praticanti, lavoravano alacremente. Sui tavoli vide strani utensili, dalle forme a lei sconosciute, come pure delle minute bilance. Uno dei tre giovani, occupato a pestare con il pestello nel mortaio, si volse a guardarla; portava una tunica bianca che le arrivava alle ginocchia e la testa era coperta da un fazzoletto che gli fasciava i capelli. Tritava qualcosa che somigliava a dei semi. Un pungente odore, che non conosceva, attirò la curiosità di Edna che si vantava di distinguere i più svariati profumi e spezie. Lei si fermò, ed alzando il naso cercava di distinguerlo. Il vecchio la guardò e sorrise per la prima volta, e disse:” Chiodo di garofano”. Lei lo guardò incuriosita. Per lei era una novità. Il maestro si avvicinò ad un ragazzo parlando una lingua a lei ignota. Questi andò sollecito verso gli scaffali, prese tre distinti contenitori e li depose davanti al maestro. Il vegliardo controllò sia la scritta che il contenuto.

Edna, che lo seguiva con lo sguardo, lo vide prendere un mortaio vuoto, e versarci dentro, con un bastoncino ricurvo ai lati, tre misure prese da uno dei due vasetti e tre misure dall’altra: dal colore lei dedusse che dovevano essere erbe secche, finemente sminuzzate. Quando aprì il terzo contenitore, nell’aria si sparse uno sgradevole odore, come di carne putrida. Il vecchio ne prese solo un pizzico e rimestò il tutto lungamente. Intanto il giovane era tornato con un sacchetto di cuoio, dove il vecchio versò tutta la mistura preparata nel mortaio. Annone si volse verso di lei con il fagottino tra le bianche e scarne mani e con la sua voce cavernosa disse:” Per la malattia di tua sorella, questo è il rimedio che la guarirà. Ogni sera, prima di coricarsi, faccia un infuso con queste erbe.” Poi le spiegò esattamente come doveva prepararlo.

” Una settimana e sua sorella sarà guarita”, le disse sicuro. A giudicare dalle monete d’argento che le chiese, l’infuso doveva essere veramente efficace. Per alleviarla dell’esorbitante somma aggiunse:” Un altro consiglio per sua sorella: le dica di bere del vino rosso, una tazza al giorno, solo dopo l’ora nona. Ma mi raccomando, non più di una piccola tazza.” (autore sconosciuto)



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