Edna e Yael (parte 2/6)
- autore sconosciuto
- 23. Aug. 2023
- 7 Min. Lesezeit
Aktualisiert: 3. Okt. 2023
LA MALATTIA DI YAEL
Edna, lasciando quell’uomo, si sentì persuasa di aver trovato la soluzione al problema di sua sorella. Lei voleva bene a Yael, ma nel suo intimo, l’aggrediva ogni tanto il terribile timore di essere stata lei la causa della sua malattia. Tutto era successo quella notte, lungo le pendici del Golan. La famiglia Ben aveva chiesto a Edna di portare, per una volta, le loro pecore al pascolo. Edna, che aveva spesso accompagnato la loro figlia a pascolare il gregge, sapeva come fare e ne fu felice. Volle Yael con se. A Yael, ormai tredicenne, non piaceva l’idea di andare al pascolo, perché da diversi giorni accusava dolori al fondo pancia. Ma Edna era la più grande e pretese che andasse con lei e alla fine così fu. Si portò così lontano con le greggi che dovettero passare la notte all’addiaccio.
La stagione era incerta, ma la giornata era stata calda, accentuata dalla mancanza di vento. Edna disse alla sorella per incoraggiarla: ”Questa notte vedremo tante di quelle stelle come tu non ne hai ancora viste, vedrai.” Ma quella notte, dai crinali del Golan, scese un vento violento, freddo ed umido che si abbatté su di loro e sul gregge. Le pecore erano agitate. Yael iniziò ad accusare dei forti dolori al sottopancia e ad aver freddo. Edna l’avvolse allora in due coperte di pelle di pecora, lasciandole solo una piccola fessura per respirare. La portò a ridosso di una roccia e le disse:
” Sorellina, aspettami qui, raduno le pecore e vengo.” Parti, ma il lavoro di radunare le pecore durò fino all’alba. Quando ritornò, sua sorella, oltre ai dolori, scottava e tremava come una foglia. Dopo una settimana, Yael guarì, ma i dolori al basso ventre continuarono. Due settimane dopo iniziarono quelle perdite di cui ancora oggi soffriva. Quelle perdite furono anche la causa per cui Yael non si era potuta sposare: per la loro religione lei era un’impura, macchiata dal peccato. Edna cacciò via quei cattivi pensieri.
IL MERCATO DI CAFARNAO
Si diresse, quindi, al mercato. Da tempo aveva in mente di comprarsi una tunica. E chi aveva la scelta più vasta e le stoffe più belle a Cafarnao, se non Biblo di Tolemaide, detto il “Fenicio”?
Edna, amante di stoffe, aveva girato diversi villaggi e città di tutta la Galilea, alla ricerca di donne che si dedicavano alla tessitura. Seguendo anche i consigli di quelle amiche che pretendevano di saper tutto, si era spinta sino nell’entroterra di Samaria, per costatare la veridicità di ciò che gli avevano detto. La conclusione fu che nessuna delle tessitrici contattate riusciva ad eguagliare i vicini Fenici, i quali rimanevano insuperabili in quell’arte. Il problema poi, non era solo la tessitura, ma anche i colori. I risultati che ottenevano erano superiori a tutti gli altri.
Edna era attirata dai colori vivaci e in particolare l’affascinavano i colori purpurei. Biblo, un commerciante Fenicio che veniva sempre al mercato di Cafarnao con il suo carro, era sempre il primo ad avere le ultime novità, sia nei colori che nelle tessiture, e riusciva ogni volta a meravigliarla, anche perché trovava sempre ciò che cercava. Dopo tanto guardare, paragonare e discutere, la scelta cadde su due tagli di stoffa: una di un delicato rosso cupo con i bordi decorati da piccolissimi quadretti dorati, alternati a minuti cerchi a raggiera di diversa grandezza; l’altra, in blu marino, era arricchita da un ricamo intersecato da piccolissime perline chiare. Edna sognava già le tuniche finite. Sorrise, dentro di sé, pregustando l’espressione d’invidia che avrebbe visto sul viso delle sue amiche, una volta finito il lavoro. Aveva pensato anche alla sua sorellina: per lei aveva comprato due tuniche finite.
Uscita da Cafarnao, guidò il suo asinello sulla strada carovaniera principale. Guardò indietro e vide Anina che la seguiva con passo tranquillo, aiutandosi, come sempre, con il suo bastone nodoso. Guardò il sole e solo allora si rese conto di essersi dilungata troppo tra i banchi di stoffe, ma il Bazar era la sua passione. Si era ripromessa di far visita a sua sorella Yael, altrimenti sarebbe rimasta tutto il giorno a girovagare, a guardare, discutere e comprare. Dopo tutto, il mercato di Cafarnao era il più grande della Galilea.
VERSO BETSAIDA
La strada dove sbucò era un andirivieni di viandanti, di carri, di gente a cavallo, sui cammelli o sugli asini, come lei. La bella terra d’Israele si trovava in un punto di passaggio e veniva percorsa da un’infinità di gente delle più svariate etnie. Erano viaggiatori che venivano dalla Siria, dal Libano, dalla Persia, dalla Mesopotamia. La maggioranza delle carovane erano dirette in Egitto o venivano da quel paese. Molti la percorrevano per andare o venire dai porti del grande mare. Infatti, quella era la strada che univa l’oriente all’occidente. I romani, grandi costruttori, l’avevano allargata e lastricata. Il fatto che quel tratto di via venisse costantemente pattugliato dai legionari romani, non era una garanzia di totale sicurezza. La possibilità d’imbattersi in qualche individuo poco raccomandabile, o in bande di ladri, era reale. Gran parte dei viaggiatori si spostava raggruppata, per ragione di sicurezza, e di preferenza con gente dello stesso clan.
Viaggiare di sera o di notte era sconsigliato anche se si era in gruppo, si doveva avere una buona scorta armata per la propria sicurezza. Per questa ragione Edna si muoveva solo di giorno. Dopo aver percorso un centinai di cubiti, prese la prima traversa e si diresse su un percorso a lei più familiare: la strada che costeggiava il lago. Anche se era in terra battuta, piena di ciottoli e polverosa, la preferiva perché era la strada che percorreva spesso con suo padre o sua madre da giovane.
Tornò con il pensiero alle belle stoffe che aveva comprato quella mattina da Biblo. Il fenicio si vantava sempre: “Solo da me si trovano le ultime novità in fatto di moda”, diceva. “Bella signora, a Roma sono questi i colori e i disegni che le mogli dei patrizi e dei senatori comprano”. Doveva aver capito il suo debole.
Edna apri il sacco che aveva al suo fianco, allungò la mano. beandosi a lisciarle ancora una volta, le accarezzò ed un piacevole fluido le sali lungo il braccio. Era felice della scelta fatta. Si voltò a guardare la serva che la seguiva pensierosa. Mentre sceglieva le stoffe, per ben due volte era venuta vicino a lei per sussurragli:” Padrona non compri queste stoffe: posso tessere io stoffe più belle di queste”, le aveva detto. Edna le aveva sorriso. Era una donna piena di buona volontà. “E sapresti tirar fuori questi colori?” le aveva chiesto.” Certo! sicuro!” L’aveva guardata negli occhi seria e aveva aggiunto: “Garantito!”
Per lei fu una sorpresa. Non immaginava nemmeno che la sua schiava sapesse lavorare al telaio. Nelle incombenze di casa, Edna le aveva evitato sempre i lavori di una certa delicatezza. Era del parere che non sarebbe mai riuscita a filare o tessere. Era utile in molti lavori: andare al pozzo per prendere l’acqua, lavare, cucinare. Le riusciva particolarmente bene l’impasto delle focacce e delle frittelle, e dimostrava fantasia e gusto nel mescolare le diverse spezie, questo sì! “Poverina”, aveva pensato Edna, “è simpatica e brava.” Poi le venne in mente che sapeva fare il “Pesach”, il pane della memoria per la festa dei pani azzimi. Ma filare? Non credeva! Colorare poi è un’arte a sé che non s’impara da un giorno all’altro solo per averlo visto fare un paio di volte”. Invece lei e sua sorella Yael avevano lavorato al telaio. Ricordava quando tingevano le matasse con l’hennè, la curcuma, il chermes. Nel periodo giovanile, con la sorella, avevano guadagnato qualcosa vendendo i lavori ai commercianti di Betsaida. Lei, una volta sposata, si era dedicata al commercio, collaborando al lavoro del marito Rashi. Adesso il suo telaio era dimenticato in qualche angolo della grande casa a prendere polvere.
Edna, iniziato a costeggiare il lago di Tiberiade, alzò lo sguardo verso l’orizzonte. In lontananza, sopra le basse e tondeggianti colline della riva opposta, indorate dalle messi ormai prossime alla mietitura, vide due gruppi di case nella parte alta del paese natale: Betsaida. Vicino a quel gruppetto si trova la casa dei suoi genitori, dove adesso era rimasta, sola soletta, sua sorella Yael. La loro casa non era lungo il lago, come la maggior parte, ma su per il pendio, piuttosto isolata.
In fondo, in un cielo velato da una soffusa nebbiolina, s’intravedeva l’altipiano della Batanea che faceva da corona al lago. Ogni volta Edna guardava con nostalgia le colline con le messi, adesso accarezzate dalla brezza. Quel piccolo tratto di terra, arricchito dai nostalgici ricordi giovanili, anche se un po' sfocati, riempiva ancora di pace il suo animo. “Peccato che vogliono cambiare tutto”, pensò. Tornava a Bersaida di tanto in tanto per trovare sua sorella e ogni volta notava dei cambiamenti. Erode Filippo, per aggraziarsi Roma, voleva sostituire anche il nome in “Giulia” ed era intenzionato ad elevarla al rango di città. Tutti ne parlavano. In verità, aveva notato due grandi costruzioni nella zona centrale del paese. Non capiva ancora cosa fossero. Una delle due somigliava ad un tempio pagano, e l’altra poteva essere un bagno pubblico. In fondo era poca roba, perché le mura, la parte più importante della città, erano in rovina come sempre e nulla veniva ancora fatto per restaurarle. La parte bassa del paese era e rimaneva un miscuglio disordinato di piccole case, per lo più abitate da pescatori. Persino lungo la foce paludosa del Giordano erano sorte delle povere case, costruite con mattoni di fango.
MYRIAM
Arrivata vicino al confine tra la Galilea e l’Iturea, Edna disse ad Anina: “Mi fermo alla locanda di Myriam”. La Locanda del Pescatore si trovava sulla strada che dal lungo lago si congiungeva con la carovaniera est-ovest. Il grande piazzale dietro la locanda era occupato da decine di cammelli che guardavano la gente con fare altezzoso e distaccato, interessati solo a ruminare. Di fianco alla stalla, oltre ad un gregge di pecore, vide dei cavalli intenti a mangiare la biada e capì che nella locanda c’erano anche soldati romani. Con movimento usuale, fece scendere il secondo velo che le copriva il capo fino all’altezza degli occhi. Legò assieme i due penduli che le scendevano sotto al mento ed il suo volto scomparve del tutto. Di lei, adesso, si vedevano solo due occhi neri e attenti.
Anina, intanto, prese i due pacchi voluminosi legati sulla groppa dell’asino e li portò nella locanda. Il locale era pieno di avventori e il loro vocio assordante sembrava il brontolio del lago quando è in tempesta. Edna disse ad Anina:” Tu aspettami fuori e dai da bere all’asino, soprattutto non perderlo di vista. C’è gente poco raccomandabile sul piazzale, non vorrei che lo rubassero”. La cugina Myriam era al bancone che mesceva della birra nei boccali, mentre Chmoul, il marito, aspettava per servirla ai clienti. I due si girarono verso la nuova arrivata, e lei dalla porta alzò la mano dicendo: “Shalom.”. Entrambi la riconobbero e Myriam le fece segno di entrare nella cucina. Edna passò vicino al tavolo dei romani con la sua lunga tunica blu. Quelli si voltarono, con l’intenzione di decifrare, attraverso quei due grandi occhi che tipo di donna fosse, ma del suo passaggio, sentirono aleggiare solo la scia di un costoso profumo. Benché sentisse addosso i loro sguardi inquisitori, evitò di guardarli. I soldati romani, anche se lasciavano vivere il popolo ebraico, erano odiati.