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Edna e Yael (parte 3/6)

  • autore sconosciuto
  • 3. Okt. 2023
  • 11 Min. Lesezeit

LA PALESTINA


La Palestina, dopo la morte di Erode il grande, era stata divisa tra i figli: l’imperatore Augusto non permise ad Archelao, benché principe ereditario di Giudea e Samaria, di fregiarsi del titolo di re come suo padre. Lo lasciò governare solo come etnarca. Egli si rivelò subito tiranno e sanguinario, come il padre. I romani lo sostituirono con Ponzio Pilato e mandarono Archelao in esilio. L’altro figlio, Erode Antipa, governava come tetrarca la Galilea e la Perea. Erode Filippo, invece, governava a nord-est del mare di Galilea l’Iturea, e la Batanea.

Purtroppo, la piccola lingua di terra della Palestina aveva già subito il dominio dei greci, dei persiani, dei babilonesi, degli assiri e degli egizi, e adesso, nella loro terra, si erano accomodati i romani.


La "pax romana" consentiva al popolo giudaico una certa autonomia per via di un particolare statuto chiamato: "religio licita", cosa che li esentava dal rendere omaggio religioso all'imperatore e alle divinità dell'impero di Roma. Inevitabile era però la presenza di Roma con le sue truppe, le quali, oltre ad imporre l'ordine, riscuoteva i tributi e si riservava le decisioni importanti. Solo a Roma spettava la sentenza di vita o di morte, anche per un cittadino ebreo.

Tutti i governanti della Palestina, per rendersi simpatici, s’inchinavano sempre e subito all’imperatore di turno e cercavano con ogni mezzo di ossequiarlo.

Edna si diresse in cucina e si guardò bene dal girarsi intorno: una donna ebrea doveva fare molta attenzione, perché ogni gesto poteva venir interpretato malamente. Myriam, cugina da parte dei Rashi, ed Edna si abbracciarono “Ti auguro un buon giorno”, le disse e Myriam, felice di rivederti, le rispose:” A te auguro un giorno di luce. Finalmente ti si vede!”.

Myriam, piccola e rotonda, era allegra ed espansiva come sempre, ma quel giorno i suoi occhi brillavano di una luce particolare.

” I tuoi ragazzi?” le chiese Edna. Sono alla sinagoga a studiare”. Poi, quasi timidamente, aggiunse: “Sai che Immanuel vuole iniziare gli studi da rabbino?” Edna la guardò meravigliata:” Ma è fantastico.” Il viso rotondo di Myriam divenne rosso. Diventare Rabbino significava procurarsi una posizione prestigiosa nella comunità. “Un Rav in famiglia è bene per voi e per noi tutti”. Quindi si girò e chiese:” Non vedo Chmouel, dov’é?” “È arrivato il vino nuovo, è sotto che aiuta a scaricare gli otri.”

Il locale, una vecchia e robusta costruzione in pietra a due piani, Myriam l’aveva ereditato dai suoi genitori. Naturalmente, trovandosi proprio sulla strada carovaniera e solo a 20 cubiti dal lago di Galilea, era in una posizione più che felice. Normalmente la taverna era frequentata da gente del posto: pescatori, pastori, artigiani che più o meno si conoscevano; ma Edna, sbirciando dalla porta socchiusa della cucina, quel giorno vide solo volti forestieri.

“Potrei lasciarti questa roba che ho comprato al mercato? La riprenderò al ritorno. Non voglio pagare il dazio due volte”, chiese a Myriam. Entrambe andarono nelle stanze al piano superiore e mostrò con entusiasmo i suoi acquisti alla cugina che guardava incantata. Nella sua semplicità, non faceva che complimentarla. Lei vestiva sempre la solita nera tunica di ruvido cotone.” Dove trovi stoffe così belle?” Edna rispose con un’alzata di spalle. Non voleva svelare le sue fonti, e per sviare la domanda, le mostrò i regali comprati per Yael. “Se un giorno verrò con te al mercato, mi aiuterai a trovare qualcosa di bello per me?” “E tu avresti tempo? Proprio tu che rimani sempre chiusa in cucina a lavorare? Ad ogni modo dimmi tu quando, ed io verrò”. Accettò la proposta sorridendo, sicura che non sarebbe mai venuta a chiederle di mantenere la promessa. Intanto s’infilò le tuniche destinate alla sorella e sopra infilò la sua, per nascondere il tutto. Entrando nel territorio dell’Iturea e Betanea avrebbe dovuto pagare il dazio per la merce e lei non aveva intenzione di dare altri danari a “quelli” come li chiamava Edna.

Mentre si vestiva, chiese alla cugina: “A proposito, quando hai visto Yael l’ultima volta?” “Due giorni fa…Si!”, rispose Myriam pensierosa. “E come sta?” “A dire la verità non ha parlato molto”, “cosa aveva?” “Non ho capito, ma mi era parsa misteriosa.” Chi! Yael misteriosa?” Edna si soffermò, per un attimo, a studiare il viso di Myriam diventato meditabondo e aggiunse:” Non hai capito il perché... Non hai chiesto?” “Si, ma lei è rimasta sul vago. Le ho anche chiesto informazioni sulla sua salute e mi ha detto che stava benissimo.” Adesso era Edna a diventare pensierosa.



IL NAZARENO


Myriam le chiese: “Dalle tue parti non si parla di un certo Nazareno?” Edna sembrava cadere dalle nuvole.” Mai sentito…chi è?” “Qui ne parlano tutti. Guarisce tanti malati, persino paralitici ed i lebbrosi. Chi l’ha visto è rimasto impressionato. Qualcuno ha giurato che sia il Messia che aspettiamo. Ho sentito, da un viaggiatore, che sono persino venuti dei farisei da Gerusalemme. Tutti sembrano interessati a lui”. Edna la guardava incuriosita: “Addirittura da Gerusalemme!” Miriam, il cui viso era diventato serio ed aveva socchiuso gli occhi, si avvicinò ad Edna e le sussurrò, con un’espressione tra lo spavento e l’incredulità

:” Brutto segno questo”. Dopo quell’affermazione continuava a scuotere la testa: “Pensare che quel povero uomo in fondo cosa fa? Fa’ solo del bene!”. Edna, diventata meditabonda, non aggiunse parola. Conosceva Miriam da quando erano giovani e per di più sapeva pure, che da brava locandiera, le piaceva raccontare anche i più assurdi pettegolezzi.

Myriam si soffermò ad osservare il viso meravigliato di Edna e sorrise aggiungendo: “Abita a Cafarnao.” Impossibile! Questa mattina ero al mercato di Cafarnao e non ho sentito nessuno che ne parlasse”, ribatté Edna. Myriam, con viso soddisfatto aggiunse: “Ti ricordi di Filippo e dell’amico Natanaele…? Quei due erano sempre insieme, poi Filippo è andato ad abitare a Cafarnao. Anche i figli di Giovanni il pescatore, Pietro e suo fratello Andrea che erano di qui?” Visto che Edna studiava chi potevano essere, per rinfrescarle la memoria, aggiunse:” Giovanni aveva quella casa di mattoni vicino al canneto”. “Si, ricordo, e allora?” “Pietro ed il fratello Andrea hanno lasciato la barca, le reti, il padre. Pietro ha lasciato anche la moglie, tutto, per seguire il profeta, come Filippo ed anche Nataele.” “No! Non è possibile!” disse Edna pensierosa. Poi si riprese e rivolta a Myriam: “Bene, io adesso vado! Passerò da te tra due o tre giorni”, tagliò corto.



LA CASA


Per entrare nel paese del tetrarco Filippo, la Iturea e Betanea, si doveva passare davanti alle guardie che incassavano il pedaggio ed il dazio sulle eventuali merci. Due delle tre guardie erano troppo impegnate a chiacchierare all’ombra del fico, lungo la riva del Giordano, per notare la voluminosa tunica di Edna. Amina, passò davanti al banco, pagando la gabella che veniva imposta a tutti quelli che si recavano oltre confine. Il giovane, seduto dietro al banco, invece, studiò Anina con espressione sospetta. Anche Anina lo fissò, e di fronte al cipiglio e alla mole di lei, il giovane non ebbe abbastanza coraggio per contestagli qualcosa e le due donne passarono.

Edna entrò in casa e si guardò intorno. Grande fu la delusione quando costatò che sua sorella non c’era. “Yahel? “chiamò, senza ottenne risposta. La lampada ad olio sul canterano era spenta e questo la fece dubitare. “Che sia uscita?” si chiese. Normalmente, quando la sorella entrava in casa, essendo quello un angolo buio, accendeva la lampada. Poi notò che sul piano rialzato della sala c’erano dei resti di pane, una caraffa d’acqua e, in un piatto, resti di pesce, segno che aveva mangiato.

Disse ad Anina che, come lei, si guardava intorno: “Metti la mia roba a posto e fai ordine qui in casa.” Notava qualcosa di cambiato. Più che vederlo lo percepiva, ma non riusciva ancora a mettere a fuoco cosa fosse. Il suo sguardo si posò nell’angolo opposto. L’angoliera, un mobile che da terra arrivava al soffitto, aveva lo sportello superiore socchiuso. L’aprì, e grande fu la sorpresa quando la vide vuota. Rimase li, ferma, con lo sguardo smarrito. Era l’angolo dove venivano conservati i loro amuleti, i loro portafortuna. Edna l’aveva arredato con tante statuine che portava ogni volta dai suoi viaggi o le davano i guaritori a cui si rivolgeva. Non poté trattenere uno scatto di collera. Ripensò alla statuina d’argento massiccio che aveva comprato a Sidone, e che le era costata molte monete. In fondo lo faceva per lei, perché guarisse, pensò.

Abbassò la testa in cerca di una spiegazione. Guardò nel ripiano inferiore del mobile, ma vi trovò solo tegami di terracotta. Anche nel centro del mobile, che aveva un’apertura, mancava la lampada ad olio che ricordava la luce nel tempio di Gerusalemme e della quale in ogni casa ebraica se ne fa tesoro.

Pensò subito che la sorella fosse dalla sua vicina Dvora a chiacchierare, e la cercò in cortile. Vide solo Dvora che stava prendendo acqua dal pozzo per abbeverare le sue pecore. Quella vista le ricordò suo padre e le discussioni che avvenivano tra lui ed i Ben. “Quella famiglia non ha mai voluto capire che non doveva abbeverare le sue bestie con quell’acqua”. Suo padre voleva che i Ben portassero ad abbeverare le loro bestie al vicino torrente. L’acqua di quel pozzo andava usata solo per cucinare e per bere. Edna la guardò corrucciata, ma non disse parola, sentiva ormai di non far più parte di quella comunità. Rientrò in casa delusa. Improvvisamente sentì la voce di sua sorella che cantava. Indagando sulla provenienza, scoprì una cosa strana. La voce veniva dal piano di sotto. Edna, improvvisamente e con grande stupore, si ricordò dello scantinato che essendo sottoterra, al riparo dal caldo e dalla luce, veniva usato solo per le scorte alimentari.

La tenda che faceva da porta era scostata. Edna, sempre più incuriosita, si fermò titubante davanti a quel buco nero che scendeva. Quando si abituò al buio, notò che in fondo si vedeva una tenue luce. Lentamente iniziò a scendere, tastando con il piede un gradino dopo l’altro, incerta. Non ricordava più quel posto. Gli ultimi due gradini, più che vederli, dovette intuirli. Intravide, nel semibuio, il grande barile che veniva usato per il pesce sotto sale, vicino agli ultimi due scalini, e lo usò come appiglio.

Guardò la provenienza della luce e vide Yael immersa in una vasca fino al collo. Ignara della sua presenza, aveva ripreso a cantare sommessamente un inno religioso. Anche con quella poca luce, Edna notò la sorpresa della sorella quando la vide. Le due si guardarono, e Yael non disse parola. Edna le chiese: “Da quando c’è questa vasca?” La sorella non sembrava troppo felice della sua apparizione, e rispose asciutta:” Non è molto. Ero stanca di usare la vasca nel cortile, così ho fatto costruire questa per le purificazioni.” Edna guardò un attimo in giro, incuriosita e senza fare altre domande disse: “Ti aspetto sopra.”

Yael arrivò poco dopo, avvolta in un lenzuolo di lino che la copriva fin sopra i capelli, mentre delle gocce d’acqua le scendevano ancora sul viso. Edna le andò incontro con in mano una delle due tuniche che aveva comprato per lei al mercato. Sul viso di Yael si dipinse, per la prima volta, un sorriso tirato.” Cos’è…non ti piace?”, le chiese.” Si! Certo che mi piace.” La guardò a lungo, poi aggiunse: “È bella!”. Si tolse il grande asciugamano e indossò la tunica, colore blu cupo, con in giro un bordino ricamato di un fine color avorio. Yael si guardò e guardò sua sorella per vedere la sua reazione. “È fantastica, sai come ti ringiovanisce”? Yael andò nell’altra camera e poco dopo riapparve con ai piedi un paio di sandali in cuoio. “Nuovi?” chiese Edna.” Nuovissimi! Guarda! si adattano con questa tunica. Con l’altra un po’ meno, ma ho altri sandali”. Adesso le brillavano gli occhi, era contenta.” Sembri una principessa!” Anche la sorella era soddisfatta e accompagnò l’affermazione con un sorriso felice. “Già!” rispose Yael che improvvisamente cambiò d’umore e divenne pensierosa. Edna vide la tunica di Yael piegata sullo sgabello. “Vedo che sei tornata da poco? Dove sei stata?” Yael volse il viso altrove. Edna si avvicinò a lei e vide due grandi lacrime scendere sulle sue lisce guance e l’abbracciò.

Dopo poco le chiese:” Mi dici cosa ti preoccupa?” Yael si staccò dall’abbraccio della sorella senza rispondere. Prese un asciugamano che avvolse sulla testa come un foulard e si diresse decisa verso il cortile.

Edna, piuttosto stizzita per la sgarberia, le gridò dietro: “E’ tanto che non ci vediamo e mi accogli in modo così freddo e distaccato, sorella?” le urlò dietro.” Come al solito capisci solo ciò che interessa a te. Ti ringrazio per le tuniche, mi sono piaciute, sei stata gentile come sempre, ma tutto questo a che serve! Ad ogni modo sappi che non sei tu la causa dei miei problemi”, le rispose Yael.

Il cortile, piuttosto ampio, era uno spazio in comune con altre due case. Tra un’abitazione e l’altra c’era un alto muro a chiudere tutta l’area dal mondo esterno. Una casa era dei Ben, e di fianco ad essa sorgeva quella della famiglia Noha. Erano lì da generazioni. Le due sorelle erano cresciute insieme ai figli dei vicini. I Ben si dedicavano da sempre alla pastorizia, mentre della famiglia Noha rimaneva solo Elisheva, vedova da molti anni. Il marito, pescatore, era scomparso anni prima nel lago di Tiberiade, vittima di una di quelle terribili tempeste che improvvisamente si scatenano su quel lago.

Il lago di Tiberiade è 209 metri sotto il livello del mare. Ad Est è circondato dalle alture del Golan. Spesso da quelle montagne precipitano, repentinamente, correnti d’aria fredda che vengono a scontrarsi con l’aria calda del lago, provocando tempeste terribili. I pescatori che in quel momento si trovano sul lago con le loro piccole barche, se non riescono a raggiungere subito la riva più vicina, vengono sballottati sulle alte onde come piccoli gusci di noce, e non sempre riescono a superare le terribili burrasche. Infatti, fu una di quelle tempeste la causa di morte del vecchio Noha.

Yael andò a sedere sulla pietra squadrata, addossata da sempre al muro della casa. La stessa che usava il loro padre, dopo aver mangiato. Era sua abitudine sedersi su quella pietra che usava per riposare, specie per godersi la brezza della sera. Il pomeriggio rimaneva solo quel poco per scambiare due chiacchiere del più e del meno con Noha, il pescatore, prima di ritirarsi per il suo riposino pomeridiano.

Edna si fermò sulla porta, osservandola a lungo. Era preoccupata, non era il comportamento usuale di sua sorella. “Cosa le girerà per la testa?” pensò. “È proprio vero, si crede di conoscere una persona, e poi? Ecco…la delusione”. Continuò ad osservarla, aveva lo sguardo pensieroso, sempre fisso nel vuoto.

Poi le venne da sorridere, dentro di sé. Scopriva solo adesso che sua sorella, così seduta, con quel modo di curvare la schiena, lo sguardo lontano, di profilo era tutta simile al loro padre. Edna, che voleva sapere che problemi aveva, si decise, ed andò a sedersi vicino a lei. Entrambe rimasero in silenzio. Yael si tolse l’asciugamano dalla testa, lasciando cadere i neri capelli sulle spalle, per meglio asciugarli al sole. Edna si voltò a guardarli: ne aveva una montagna, come la loro madre, anche se non erano così forti e lucidi; lei, invece, aveva già molti capelli bianchi che cercava costantemente di nascondere con l’henné.

Prima che Edna potesse iniziare a parlare, dalla casa di fronte, uscì Dvora, una delle figlie dei Ben che si andò a sedere vicino a Yael. “Mi piace tanto la tua tunica, è bellissima!”, le disse:

” Ti piace? Me l’ha regalata Edna.” Edna, invece, la guardò male; non le era mai piaciuta da quando erano bambine. Era troppo curiosa e pettegola per i suoi gusti. Ma le rivolse ugualmente la parola: “Dove hai portate il tuo gregge, oggi?” “Sono arrivata sin verso i pendii del Golan. Ricordi ancora quei luoghi, no? I pascoli sono abbondanti e l’erba è migliore”, le rispose subito, ma poi tacque. Yael disse:” Dvora, mettimi da parte alcune di quelle formaggette che fai. Voglio darle a mia sorella. Ha sicuramente dimenticato quanto siano buone”. Entrambe sorrisero, ma non Edna. “Ricordo benissimo l’hummus che faceva tua madre”, disse, rivolta a Devora. Entrambe sorrisero per l’inaspettata battuta di Edna. “A me, invece, piacevano le focaccine con lo zenzero che faceva vostra madre”, disse Dvora, alla quale brillavano i neri occhi e le gote le si erano arrossate.

Dvora fissava continuamente e con curiosità Edna di sottocchio, rimanendo però riservata. Anche se erano state amiche, quel filo dell’amicizia che c’era stato una volta si era ormai rotto. Non era nemmeno la tunica di seta decorata con una fine bordura di Yael, ad interessare Dvora, e neppure i vistosi capelli lucidi e profumati di unguento prezioso che Edna, togliendosi il grande fazzoletto, aveva messo in evidenza. Era ammagliata dalle unghie dei piedi di Edna tinte di rosso che l’affascinavano. Era troppo timida per porre domande dirette, ma disse:” Ricordi quando venivi con me al pascolo?” Edna la guardò dall’alto in basso, quei ricordi l’impacciavano; ma le sorrise e rispose asciutta: “Si! ricordo!” “E ricordi anche Raphael?” Il viso di Edna improvvisamente s’illuminò e l’apatia di poco prima spari.” Lo vedi ancora? Racconta, racconta, Cosa fa?” Le due donne sorrisero, conoscevano la storia e l’interesse che lei aveva avuto per quel giovane che lavorava alle pendici del Golan come taglialegna.


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